"NEL MEZZO DEL CAMMIN DE LA MIA VITA..." Percorsi di riflessione nel 750° anniversario della nascita di Dante Alighieri Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2015
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“Nel mezzo del cammin della mia vita…” è il titolo dell’ultima opera di Vincenzo Massimo Majuri. Sacerdote della Diocesi di Messina – Lipari – S. Lucia del Mela, parroco di S. Domenica V.M. in Tremestieri, nonché docente di Filosofia Teoretica e Antropologia Filosofica all’Istituto Teologico “S. Tommaso”, Padre Majuri è autore di diversi libri, tra cui “L’amicizia è ancora possibile oggi? Le risposte sapienziali nella storia del pensiero occidentale” e “Dante e la Bibbia”. Quest’ultimo è il primo volume di una trilogia che percorre le orme del padre della Divina Commedia, in occasione del 750esimo anniversario della nascita, al fine di rintracciare la filigrana biblica delle terzine incatenate. “Nel mezzo del cammin della mia vita…”, oltre a essere il secondo volume della trilogia, è nelle parole dell’autore «un saggio che si compone di tre parti, ognuna divisa in tre capitoli, tese a suscitare l’entusiasmo di incontrarsi con la Divina Commedia, presentandone aspetti noti e forse meno noti, numerici e fantasiosi, storici e leggendari, teologici e letterari, liturgici e religiosi, lirici e grotteschi. Percorsi, semplici percorsi, per mettere i nostri piedi sulle orme di un grande uomo, di un grande uomo di fede, di un grande italiano, ‘semplicemente’ del Sommo Poeta, Padre della nostra Madre lingua». Il manoscritto è stato presentato ieri pomeriggio da Majuri nella Sala Sinopoli del teatro Vittorio Emanuele in un incontro a cui hanno preso parte il Prof. Don Pietro Pizzuto, docente di teologia fondamentale, Prof. Mons. Eugenio Foti, docente di Mariologia. Il Prof. Cesare Natoli, docente di filosofia, ha moderato i lavori. «Nella Commedia, Dante celebra la Trinità anche attraverso la forma», spiega Majuri. La forma è ordine raccontato attraverso i numeri. Trentatre canti per tre cantiche, più uno introduttivo, per un totale di cento canti. Cento, multiplo di dieci, simbolo di completezza. In duecentosessantotto pagine, con oltre seicento riferimenti biblici, l’autore fornisce uno studio minuzioso sul poeta-pellegrino, sul Dante che dà peso alla forma. «Grande maestro, il Sommo Poeta, trentacinquenne pellegrino nei mondi dell’Oltretomba, è per me, trentacinquenne - scrive Don Enzo nell’introduzione - guida nel mio viaggio reale terreno, lui che fu condotto da Virgilio nel suo viaggio immaginario ultraterreno. In suo onore, nel vasto panorama di illustri iniziative di vario genere in Italia e all’estero proposte e vissute, per festeggiarne ancora il compleanno, offro questo contributo che ha per titolo il primo celeberrimo endecasillabo della Commedia, in una forma più ‘personalizzata’». A pochi mesi dalla presentazione di “Dante e la Bibbia”, Vincezo Majuri esplora ancora una volta il percorso del Vate per regalare ai lettori nuovi spunti di riflessione sulla vivacità e la freschezza della poesia dantesca alla luce della fede che la anima.
Gabriele Quattrocchi
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DANTE E LA BIBBIA L'ispirazione scritturistica nel viaggio ultraterreno del "Divin Poeta" Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2015
Ricorrendo il 750° anniversario della nascita di Dante Alighieri, Vincenzo Massimo Majuri offre ai cultori del “Divin Poeta” questo contributo sull’ispirazione biblica nella Divina Commedia. L’autore vuole dimostrare come Dante, nel comporre le tre Cantiche, abbia fatto riferimento costante alla Parola di Dio attestata nella Sacra Scrittura. Il volume è un prontuario che individua e raccoglie tutti i testi biblici che hanno ispirato gli endecasillabi dell’Alighieri; vengono prese in considerazione non solo le citazioni esplicite ma anche quelle implicite. A questo proposito vale l’osservazione dello studioso Angelo Penna (riportata a p. 54), per il quale non è sempre facile stabilire la dipendenza tra il testo della Commedia e l’implicito fondamento biblico; per cui una valutazione della questione dell’ispirazione biblica nella Divina Commedia resta pur sempre aperta ad ulteriori precisazioni. Majuri elenca sinotticamente i passi biblici incolonnandoli accanto al testo poetico; poi, alla fine di ogni Cantica, li riporta per esteso. La traduzione del testo biblico non è quella ufficiale della CEI del 2008 (come erroneamente indicato nelle note bibliografiche premesse al testo), bensì la versione ufficiale del 1974. Questa scelta non viene giustificata dall’autore. A mio avviso, si tratta di un contributo utilissimo, da affiancare ai commentari della Divina Commedia per averne una conoscenza più appropriata. Sarebbe stato prezioso se l’autore avesse offerto un quadro sintetico sulla quantità di citazioni per testo biblico così da individuare immediatamente se Dante avesse nutrito particolari preferenze tra i testi biblici. Con questo contributo Majuri fonda ulteriormente l’interpretazione cristiana della Commedia, smentendo ancora una volta le ideologiche interpretazioni laiciste; Inferno, Purgatorio e Paradiso sono tre Cantiche di profonda ispirazione religiosa e radicate nella Bibbia. Nell’introduzione (pp. 19-32) l’autore evidenzia come il testo di Dante sia stato costantemente considerato nel Magistero pontificio a partire da Benedetto XV. In appendice (pp. 341-363) vengono riportati i due testi magisteriali più significativi: la lettera enciclica In praeclara summorum di Benedetto XV, del 1921 (in occasione del VI centenario della morte) e la lettera apostolica Altissimi cantus di Paolo VI, del 1965 (in occasione del VII centenario della nascita e non del VI come indicato). Riguardo alla presentazione dei riferimenti danteschi nel magistero pontificio, Majuri si ferma a Benedetto XVI e alle sue illuminanti parole; poteva anche aggiungere un importante riferimento alla lettera enciclica Lumen fidei di Papa Francesco che cita Dante per presentare la connessione tra fede e luce. La citazione è tratta dal canto XXIV del Paradiso (cf. Lumen fidei n. 4) e si intuisce subito che si tratta di un tema tipicamente ratzingeriano che avrebbe completato perfettamente quanto Majuri ha riportato del magistero di Benedetto XVI (pp. 23-24); inoltre, l’autore si sofferma proprio sul canto XXIV del Paradiso per argomentare la fede dell’Alighieri circa l’ispirazione della Bibbia (pp. 67-72). Prima di elencare e citare i passi biblici, nella parte centrale del saggio, l’autore offre tre contributi: un quadro storico di Firenze nel secolo di Dante (pp. 33-37); un profilo biografico (e non autobiografico come appare detto nelle testatine) (pp. 39-52); una presentazione del rapporto di Dante con la Scrittura. Su quest’ultimo contributo mi soffermo perché è quello più specifico. Majuri si pone in continuità con gli studiosi che hanno preso in considerazione la relazione di Dante con la Bibbia; egli ravvisa però che tali studi sono ormai datati e necessitano di un aggiornamento (p. 53). In nove pagine dense di citazioni l’autore offre una presentazione sintetica sull’ispirazione biblica delle altre opere di Dante (p. 55-63). Riguardo alle questioni inerenti alla Scrittura vengono riprese per lo più le conclusioni di Penna: Dante utilizza due linee interpretative, quella letterale e quella allegorica (pp. 60-61. 63-67); la traduzione di riferimento è la Vulgata (p. 61); Dante cita anche i testi deuterocanonici (p. 61); la Scrittura è considerata un’auctoritas in quanto vera e ispirata (p. 62); l’ispirazione viene creduta sulla scorta del compimento delle parole profetiche (pp. 70-71); Dante è cosciente che esiste un’interpretazione definitiva del testo biblico che è quella della Chiesa nel suo Magistero e che si può verificare un uso distorto della lettera della Scrittura (pp. 62-63). Tutte queste questioni sono davvero interessanti e meritano un ulteriore approfondimento per vedere fino a che punto Dante possa essere considerato un qualificato testimone della comprensione ecclesiale circa ispirazione, canone ed ermeneutica biblica.
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Questo studio di Vincenzo Massimo Majuri, che ben degnamente inaugura la nuova collana della Casa Editrice Leonardo da Vinci denominata “Fede e poesia”, presenta e illustra l’ispirazione biblica della poesia dantesca con rara competenza e perspicuità, tale da far comprendere ai lettori come la comunicazione della fede nelle verità rivelate da Dio serva sempre, anche quando il credente si esprime ricorrendo all’espressione poetica, a guidare la coscienza di tutti nel difficile cammino della propria vita, in vista della meta che l’amore di Dio creatore e redentore ha fissato per ognuno di noi. […] Dante, da vero cristiano, vede nel cammino della vita la possibilità di corrispondere liberamente alla grazia di Dio, alla sua chiamata alla santità, con una risposta che si nutre a ogni passo della parola di Dio, che è guida sicura, perché consente di interpretare rettamente ogni avvenimento – gioie e dolori, successi e sconfitte – e anche ogni messaggio che venga dalle creature – buoni o cattivi consiglieri, veri e falsi maestri di sapienza umana – come segni del progetto divino di salvezza per ciascuno.
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In occasione del 750esimo anniversario della nascita del padre della “Divina Commedia”, a Messina, nel Salone della Bandiere di Palazzo Zanca, è stato presentato il libro “Dante e la Bibbia. L’ispirazione scritturistica del viaggio ultraterreno del “Divin Poeta”” (Leonardo Da Vinci) del prof. don Vincenzo Massimo Majuri.
http://www.ilcittadinodimessina.it/news.asp?idz=1&idsz=0&idn=41291
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Atti del Seminario di Filosofia Coop. S. Tom., Messina 2014
Dalla presentazione: «Il presente volume raccoglie gli elaborati realizzati dagli studenti partecipanti al Seminario dal titolo «Il concetto di «amicizia» nella tradizione filosofica occidentale», tenuto a conclusione del biennio di studi filosofici nel semestre secondo dell’anno accademico 2012-2013, presso l’Istituto Teologico “San Tommaso” di Messina. Dopo un’introduzione generale all’argomento «l’amicizia», all’interno del Seminario, a ciascun corsista è stato affidato un autore, significativo esponente dello sviluppo del pensiero filosofico in Occidente, da accostare – in lettura sinottica – a un testo agostiniano inerente il tema generale del Seminario. Sono emerse tematiche relative all’amicizia come: la sua impossibilità ad essere con un numero elevato di persone; la sua possibilità o meno a viversi tra persone dello stesso sesso o no; il suo rapporto alla grandezza d’animo o alla carità cristiana; la sua relazione con le virtù; il suo formalismo e i suoi linguaggi; la sua diversità nelle tante relazioni o per interesse, o per utilità o nella gratuità; la sua inconsistenza per alcuni autori, come Voltaire e Schopenhauer, che la riducono a tacito contratto o a mera convenzione umana; il suo rapporto con lo stato di solitudine dell’uomo; e molti altri aspetti che nelle diverse esercitazioni di Seminario, qui riportate, sarà possibile notare e ritenere per vivere relazioni amicali più consistenti nelle esperienze quotidiane della nostra esistenza. Resta, comunque, sempre attuale, da una parte, e affascinante, dall’altra, l’asserto aristotelico che «nessuno sceglierebbe di vivere, senza amici». |
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L'AMICIZIA. È ANCORA POSSIBILE OGGI?
Le risposte sapienziali nella storia del pensiero occidentaleCasa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2013, pp. 448, Euro 23.00
Il problema attuale dell’amicizia - che interpella le coscienze degli uomini e delle donne di oggi ed è da anni oggetto di discussione tra studiosi di antropologia e di etica - viene affrontato dall’autore esponendo e commentando testi sapienziali accuratamente scelti nella storia del pensiero occidentale, dalla Bibbia alla filosofia classica, e poi via via, fino ai pensatori contemporanei. Nella presentazione Antonio Livi scrive: «il tema dell’amicizia acquista oggi il significato di un banco di prova per la coerenza e la concretezza di ogni discorso sull’uomo e sulla società. Per una feconda riflessione, che è allo stesso tempo antropologica, etica e religiosa, si richiede, da una parte, l’autentica passione per la verità dell’uomo, e dall’altra la capacità di portare a termine un’analisi rigorosamente epistemologica. e sono proprio queste le qualità scientifiche che hanno consentito all’autore di questo volume di tracciare un consuntivo non arbitrario ma pienamente giustificato della tradizione sapienziale antica e medioevale sul tema dell’amicizia, mostrandone poi gli sviluppi nell’epoca moderna e contemporanea».
RECENSIONI
L’ Autore ci guida in una veloce cavalcata attraverso i secoli per scoprire l’Amicizia: dai tempi in cui è esaltata ed amata, pur nei limiti elitari, (l’umanesimo greco-romano) ai nostri tempi post-moderni, che non sanno definirsi se non con un “post”, intrisi di individualismo esasperato e irrelato (esaltazione dell’autorealizzazione egocentrica opposta allocentrica) e terreno “arido” per il fiorire dell’amicizia. La difficoltà dell’amicizia non sta nella fragilità, ma dall’assenza di una identità (carente l’identità personale, di genere e sociale; personalità a puzzle, camaleontica, riduzionismo antiumanistico (esaltazione biologica e cibernetica, ideologia animalista che ripiega sulla relazione animale piuttosto che con il proprio simile). Rapide pennellate, ma efficaci che contestualizzano i documenti. È pregevole la guida alla lettura diretta del documento, per non fermarsi al già detto, per imparare la ricerca della verità attraverso il confronto e non la ripetizione pedissequa di manuali. Valore della riflessione. Dal punto di vista sociale: necessaria per ricostituire un tessuto sociale solidale e coeso per una res pubblica, veramente democratica e umanizzante. Infatti essa è in grado di arricchire tutte le altre relazioni: civiche, parentali, fraterne, interpersonali. L’unione tra amici è ancora più stretta di quella che c’è tra fratelli: infatti solo i più intimi tra i fratelli sono anche amici. La parentela sussiste anche senza amore; ma senza amore, l’amicizia non può sussistere. Dal punto di vista pedagogico: l’amicizia, come l’amore, è una dimensione fondamentale dell’espansione umanizzatrice della personalità. Senza di essa la dimensione relazionale e sociale di ogni soggetto umano resta monca. Poiché essa è l’assonanza o consonanza spirituale tra due o più persone, che proprio per questo fanno esperienza di solidarietà e gratuità del dono di sé. Sottolineatura del valore della rivelazione cristiana sull’amicizia, in quanto l’agape spinge all’amore universale e oblativo, per cui ogni uomo, immagine di Cristo e mio fratello, è un potenziale mio amico. Ma l’assolutizzazione radicale della trascendenza dell’amore di Dio e del prossimo di fatti svuota il valore dell’amicizia (considerata come un valore pagano) (Kierkegaard). Questi dimentica che «la grazia perfeziona la natura e non la distrugge». Offriamo una sintesi in sei punti 1. L’essenza dell’amicizia consiste nel sentire l’amico come un altro se stesso (Aristotele), al punto da considerare l’unione tra amici come quella di un’anima sola con due o più corpi. «Per amicizia, oggi, si intende una comunità fra due o più persone che condividono interessi, sentimenti e si stimano vicendevolmente» (p. 24). Fondamentale è dunque l’accordo, anche implicito (Voltaire), tra le parti; questo richiede consonanza di virtù e di ideali: quando questi convengono in unità, l’amicizia è solida. 2. Il fine dell’amicizia è l’amicizia stessa; ma questa è un dono pieno di doni come la felicità, la soddisfazione dei bisogni e il mutuo aiuto (spirituale e materiale) (Epicuro), e quindi la costruzione della società (è il telos dell’uomo). Infatti il singolo uomo non può compiere da solo ogni cosa: il precetto dell’amicizia, inteso come vincolo naturale e divino, salvaguarda la stessa esistenza del genere umano. È vera e utile soltanto l’amicizia che produce buoni effetti (comportamenti e abiti virtuosi); nessuna impresa umana, benché negativa, può essere compiuta senza il soccorso di amicizie. Uomini di grande virtù o ebbero amici che li aiutarono o grandi nemici che li costrinsero a difendersi, sviluppando così la loro forza; perciò si può dire che l’amicizia sia più utile al mondo che la stessa ricchezza. Uno stato può sussistere anche senza tesoro, ma non potrebbe sussistere senza amici. L’amico che non produce in noi nessun bene, specialmente morale, è un "ladro di tempo" e dove non vi è reciproca corrispondenza, non v’è amicizia. La forza con la quale gli amici si fanno del bene è minore di quella con la quale i nemici si odiano: ciò dimostra che il mondo è più incline al male che al bene. 3. Il beneficio supremo dell’amicizia è l’aumento della gioia e della potenza umana. Se nel mondo non vi fosse amicizia, non vi sarebbe gioia, che si apprezza di più quando l’amico è perduto; tuttavia, se gli amici sono fonte di gioia, quando l’amicizia non sia vera o quando siano sottratti alla nostra comunione dalla lontananza o dalla morte, possono essere anche causa di molta tristezza. Il vero amico è «la ricchezza del povero, la forza del debole e la medicina del malato» (Aelredo); pertanto, chi conosce i benefici dell’amicizia, cerca buoni amici e fa loro del bene. Veramente ricco si dice chi ha molti amici. Ma per alcuni l’amicizia è esclusiva e totalizzante. 4. Il fondamento della vera amicizia è la virtù. L’amicizia è fondata sulla saggezza e ha di mira lo sviluppo della virtù: ecco perché è importante avere amici virtuosi, fedeli, disinteressati, sinceri, sostegno verso la perfezione. Per virtù si deve inten-dere l’obbedienza alla ragione e l’amore per la giustizia. La nobiltà dell’amicizia dipende dall’esclusivo fondamento di essa sulla virtù; ma sono pochi quelli che vi riescono («Amici, non vi sono amici» (Socrate). Per poter stringere amicizia con altri, è necessario essere prima amici di se stessi; ma questo è possibile soltanto seguendo ragione e giustizia. Se il piacere prevale sulla virtù, l’amicizia è poco duratura: soltanto la solida virtù è garanzia di una durevole amicizia e di gioia autentica. Le esigenze della giustizia devono prevalere su quelle della stessa amicizia, quando entrino in conflitto con questa. Il numero degli amici è anche sintomo della virtù di un uomo e l’amico saggio è fonte perenne di stimolo al compimento del bene; al contrario, chi fa amicizia con i cattivi finirà per macchiarsi anche lui. La forza della virtù è tale da imporsi anche da sola, senza gesti o parole, in chi abbia animo ben disposto: questa dottrina dell’amicizia tra uomini virtuosi è indispensabile per la crescita della virtù e della socialità umane. Se la virtù è il fondamento dell’amicizia, il suo accrescimento ne è il risultato più autentico e proprio. 5. Le proprietà dell’amicizia * La sincerità/autenticità/franchezza – L’amicizia richiede la totale trasparenza reciproca delle idee e dei sentimenti: amico è colui al quale si può aprire completamente il cuore e al quale si può e si deve dire la verità, anche quando possa dispiacergli. Una delle insidie più pericolose dell’amicizia è l'adulazione, perché mira al piacere o all’utile, mentre la verità mira alla virtù. Il minimo dubbio sull’amico è già contrario alla legge dell’amicizia. * b. La fedeltà – Questa implica anzitutto la stabilità delle intenzioni e degli affetti nei confronti dell’amico, quali che siano le mutazioni delle circostanze. Comporta il mantenimento delle promesse, la costanza nelle relazioni, tanto più quanto più sono vecchie, il ricordo anche dopo la morte e l’astensione dal nuocere, che sarebbe sentito in modo più grave proprio perché proveniente da un amico. * c. Il disinteresse – L’amico si ama per la reciprocità dell’affetto, non per i suoi beni. Chi fa benefici all’amico attendendone una ricompensa è un mercante. Se l’amico è attratto dalle ricchezze, si allontanerà quando queste finiranno. Il saggio non concede la propria amicizia dietro compenso materiale, né profitta della buona disponibilità dell'amico. * d. La condivisione – «Le cose degli amici sono tutte comuni». 6. La difesa dell’amicizia. Poiché si tratta di un bene così prezioso, per gli individui e per la società, l’amicizia deve essere accuratamente protetta sia nella scelta degli amici sia nella loro conservazione. Le vicissitudini dell’animo e delle cose umane sono imprevedibili; dunque è necessario usare estrema accortezza. Sugli amici persino il saggio si illude: bisogna diffidare di chi vanta troppi amici intimi e «prima di contrarre un’amicizia, bisogna osservare» attentamente l’indole e le intenzioni dei possibili amici. La prudenza impone di non credere del tutto né alle lodi degli amici né alle detrazioni dei nemici; soprattutto, consiglia di valutare la sincerità di un’amicizia nella stretta delle avversità. Se si vuole allontanare amici frivoli, lo si faccia con discrezione e gradatamente e se non è possibile avere tutti per amici, si cerchi almeno di non avere nemici. Alcune problematiche a) Ci può essere amicizia tra uomo e donna? Nell’antichità: no, a causa dello status sociale della donna. Oggi diremmo sì, ma non ci deve essere attrazione sessuale, altrimenti diventerebbe un’altra cosa (innamoramento, passione …) Ma con la scissione tra sesso e amore, sembrerebbe possibile. Il sesso, staccato dalla procreazione acquista un senso ludico, un donarsi senza impegni e senza troppo coinvolgimenti emotivi. b) L’amicizia tra “cattivi”o con i cattivi? richiede affinità, consonanza, somiglianza, ma non identità, anzi richiede l’accettazione dell’identità dell’altro nella sua peculiarità, nella sua alterità oltre che nella sua uguaglianza. Buoni con buoni, cattivi con cattivi. Ma chi pratica lo zoppo comincia a zoppicare. Ci può essere amicizia tra i cattivi? Nel malaffare no: si instaurano altri tipi di rapporto (gregarismo, violenza, dipendenza …ma non amicizia) Tuttavia non c’è un uomo totalmente cattivo e totalmente buono, per cui anche in ambienti malfamati può sorgere l’amicizia. c) Il dualismo antropologico incide nella concezione dell’amicizia valorizzando i sentimenti e accentuando l’intellettualismo. Luigi La Rosa Da LITTERA – Rivista di studi filosofici, teologici e storico-religiosi dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose "S.Maria della Lettera" – Messina
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Majuri V. (ed.), La teologia nel Magistero di Benedetto XVI, Atti – Convegni – Ricerche dell’ISSR “S. Maria della Lettera”, 1, Messina 2008. |
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